Commento all’articolo: Osteopathic Cranial Manipulative Medicine and the Blood-Brain Barrier: A Mechanistic Approach to Alzheimer Prevention [McAree M., Dunn A., Furtado J., Timmerman C., Winchell Z., Rani R., Farah J., Crispino LJ.]
Attualmente negli Stati Uniti l’Alzheimer colpisce 4.7 milioni di persone e si prevede che la maggior parte di queste giungerà alla perdita di indipendenza e morte entro 4-8 anni dalla diagnosi.
Poiché il tasso di mortalità legato a questo morbo è aumentato del 123% tra il 2000 e il 2015 e, invece, il tasso di successo farmacologico rimane del tutto inadeguato alla richiesta, gli autori dell’articolo preso in analisi suggeriscono di porre maggiore enfasi su nuovi approcci per gestire e prevenire questa condizione.
Studi hanno dimostrato che una possibile rottura della barriera ematoencefalica possa essere implicata nella patogenesi dell’Alzheimer stabilendo così un legame tra l’Alzheimer stesso e la degenerazione neurovascolare.
Sebbene il trattamento manipolativo osteopatico (OMT) non sia stato tradizionalmente considerato una modalità di cura preventiva per i disturbi neurologici, gli autori dell’articolo propongono una revisione della letteratura scientifica per valutare la medicina manipolativa craniale osteopatica (OCMM) come un potenziale trattamento preventivo per pazienti affetti da malattie con origine neurovascolare, come l’Alzheimer.
Cosa sappiamo dalla letteratura della relazione tra trattamento osteopatico e flusso sanguigno?
In questa revisione emerge che la letteratura corrente sull’OMT – identificata mediante una ricerca bibliografica – pone particolare enfasi sull’utilizzo della tecnica osteopatica cranica di compressione del quarto del ventricolo (CV-4).
La letteratura stessa risulta comunque limitata e pochi studi sono stati condotti per determinare l’impatto della tecnica CV-4 sui parametri emodinamici cerebrovascolari eccetto che per lo studio condotto sulle onde di Traube-Hering-Mayer che suggerisce un potenziale ruolo del CV-4 nell’amplificazione della velocità del flusso sanguigno.
Cosa sappiamo, invece, della correlazione tra barriera ematoencefalica e Alzheimer?
La letteratura sui reperti post-mortem delle placche aterosclerotiche nel circolo di Willis, che tendono ad essere marcatamente più gravi nei pazienti con Alzheimer o demenza vascolare, indica un’associazione diretta tra cattiva salute cardiovascolare, perfusione vascolare cerebrale e declino cognitivo.
Inoltre il sangue è un importante serbatoio dell’amiloide-beta (Aβ), proteina associate all’Alzheimer che si deposita all’interno dell’ippocampo, della corteccia cerebrale e del tronco del cervello favorendo l’insorgenza di demenza. L’esame post-mortem di sieri umani e cervelli di pazienti morti per Alzheimer ha anche riscontrato una presenza diffusa di autoanticorpi aggregati all’amiloide-beta (Aß). Questi peptidi e i loro anticorpi attraversano la barriera ematoencefalica per depositarsi nel cervello, suggerendo che la barriera giochi un ruolo chiave nella manifestazione dell’Alzheimer stesso.
Questi risultati implicano che l’adozione di misure per rafforzare l’integrità della barriera emato-encefalica può ridurre il rischio di Alzheimer.
Quali relazioni ci sono tra la barriera ematoencefalica, l’aumento del flusso e lo “shear stress” sulle pareti dei vasi?
La funzione principale della barriera ematoencefalica è di proteggere il tessuto neurale da sostanze nocive nel sistema circolatorio, un ruolo fondamentale per il mantenimento dell’omeostasi.
L’integrità della barriera è mantenuta dalle cellule endoteliali del cervello, fortemente legate da una serie giunzioni che agiscono da sensori agli stimoli meccanici circostanti. L’attivazione di questi meccanocettori influisce sulle cascate di segnalazione intra ed intercellulari che lavorano per modulare la permeabilità vascolare.
Cucullo et al. nello studio “The role of shear strees in blood-brain barrier endothelial physiology” spiegano che il sangue espone costantemente le cellule endoteliali cerebrali a sollecitazioni “shear stress” traducibile in stress meccanico da taglio. Questo stress ha un effetto sulla disposizione delle cellule endoteliali nella parete vascolare, inducendo il rimodellamento funzionale della barriera.
Risultati supportano l’idea che l’aumento dello “shear stress” aiuti a preservare la salute cerebrovascolare e che la modulazione dello “shear stress”stesso possa aumentare la velocità del flusso ematico cerebrale rafforzando l’integrità della barriera ematoencefalica .
Conclusioni
Sulla base della letteratura esaminata e della gravità epidemiologica dell’Alzheimer, gli autori credono fortemente che la tecnica CV-4 dovrebbe essere esplorata come mezzo di prevenzione in persone con una storia familiare o predisposizione alla malattia. Si ipotizza che nel tempo il trattamento osteopatico di routine abbia il potenziale per sovraregolare il flusso cerebrale vascolare e innescare un aumento dello stress di taglio, che potrebbe portare a un rimodellamento funzionale della barriera con conseguente riduzione dell’accesso al parenchima cerebrale di autoanticorpi e peptide Aß. Questo approccio può ridurre la probabilità di Alzheimer o di un’altra malattia con causa comparabile.
Il nostro principale risultato di interesse è che il trattamento manipolativo osteopatico, in particolare la tecnica CV-4, potrebbe aiutare a preservare l’integrità cerebrovascolare della barriera.
Gli autori di questa review, consapevoli dei limiti della ricerca in ambito osteopatico, pongono le basi per possibili futuri studi che coinvolgano la ricerca scientifica ad ottenere risposte sui quesiti che si sono posti con risultati sostenibili da dati statisticamente più validi.